Invito alla lettura

“FIORE DI ROCCIA” di Ilaria Tuti: un libro da leggere.

L’unica cosa che c’è di civile, in guerra, sono le vittime” diceva Gino Strada, il medico fondatore di Emergency.

Con “Fiore di rocciaIlaria Tuti racconta la storia dimenticata delle portatrici: donne che durante la prima guerra mondiale portano armi e rifornimenti agli alpini in Carnia. E per la prima volta nella storia dei conflitti armati, un gruppo di donne generose e tenaci viene considerato un “reparto”.

Tutto inizia in Chiesa: il portale si apre e un ufficiale chiede aiuto al prete, a Don Nereo. Comincia così la storia delle portatrici: donne giovani e meno giovani che salgono in montagna per aiutare gli alpini in difficoltà. Salgono con carichi di armi talmente pesanti da tagliare la pelle, con tanta fame e tanta paura, con tanta generosità e tanta determinazione.

Mamme e figlie, fidanzate, mogli e sorelle rischiano la vita per salvare la propria terra, le proprie case, le proprie montagne. Ciascuna lascia a casa un affetto di cui occuparsi: che sia un padre malato o siano dei figli da crescere.

Per la prima volta nella storia del nostro popolo, le gerle che per secoli abbiamo usato per portare i nostri infanti, i corredi delle spose, il cibo che dà sostentamento, la legna che scalda corpi e cuori accolgono strumenti di morte: granate, munizioni, armi”. E così le donne con le gerle si arrampicano per 1200 metri di dislivello ogni volta che è necessario e fino quasi alla linea del fronte, con in tasca un pasto che sta in un palmo e che odora di muffa.

E mentre le donne salgono la montagna ecco i colpi di cannone: “sono ancora viva e inizio a cantare. Canto contro la paura, canto sempre più forte per non sentire i pezzi da artiglieria” racconta Agata Primus, la protagonista inventata del romanzo che si ispira a storia vera. E gli scarponi dei soldati imparano a rispettare le donne e le loro calzature povere, gli scarpetz, fatte di strati di vecchi panni cuciti assieme con filo e spago.

I soldati sono ragazzi, con gli occhi scavati dei sopravvissuti all’orrore. E in un giorno in cui ha perso 63 uomini, il capitano Colman stringe la mano ad Agata in un accordo: un militare ed una donna si capiscono, in un mondo in cui nemmeno la carità può essere troppo generosa.

Cosa è il fronte? “Non è naturale stare fermi a pochi passi gli uni dagli altri, condividere gli stessi sacrifici e i medesimi patemi. Serve una risolutezza sovrumana per non sentire il richiamo del riconoscersi l’uno nell’altro”. Quanto sono attuali ancora oggi queste parole, in luoghi sperduti e in luoghi noti delle troppe guerre dimenticate e delle troppe guerre a cui abbiamo fatto l’abitudine dei nostri giorni.

Il bene e il male non sono separati dal confine e dalle divise: il male è presente tra i paesani e il bene è presente tra le divise nemiche. E’ il non senso dei confini, l’assurdità delle guerre.

E mentre Dio è sempre più lontano, i soldati di ogni parte muoiono per guerra, assideramento e valanghe.

Una volta tornando al paese Agata si imbatte in un diavolo bianco, un soldato nemico appostato, un cecchino. E spara: “chi è il buono e chi il cattivo non è più possibile dirlo”.

Il romanzo ci racconta i suoi protagonisti e le loro storie, le loro generosità grandi e le loro bassezze infime.

Ilaria Tuti ci racconta l’amore tra una donna e un uomo che non parlano la stessa lingua e servono Paesi diversi: servono Paesi in guerra. Ci racconta di un amore per il quale si darebbe la vita che viene visto come un tradimento da punire con la pena più grande. “Questo nemico così simile a un uomo” dice Agata dell’uomo che la salverà.

Con la tecnica del flash back l’autrice racconta di piccole storie e di grandi storie, di vicende personali e di vicende collettive. In guerra la povera gente dubita di Dio tanto quanto dubita dell’uomo: onore e ordini paiono avere un senso ma poi dolore e morte rendono tutto disumano e assurdo.

Anatemi sulla guerra e inni alla rivolta. Spezzate i fucili, tornate alle vostre case. Che le lame servano per dissodare la terra e le mani degli uomini accarezzino le guance dei bambini e di donne innamorate, così stanche di reggere sulle proprie spalle il peso di un conflitto”.

Ha un senso, la guerra?

“La guerra non vuole cessare…e presto sarà di nuovo primavera e i campi dovranno essere dissodati, le sementi gettate, o sarà ancora fame. Non lo capiscono i signori della guerra? No, perché il loro piatto sarà comunque sempre colmo. Le donne dovrebbero ribellarsi. Almeno loro”.

Quando tutto intorno a sé era morte, Agata sceglie la speranza.

Guardo questa madre, che spende il tempo prezioso che le rimane nel tentativo di salvarci, invece di stare con i suoi bambini, e vedo, finalmente, Dio. Dio è qui ed è donna”.

Ricordare è nostro dovere e responsabilità, con sentimento di profonda gratitudine. Se poi fossimo anche capaci di non ripetere gli errori e gli orrori …

“La guerra che verrà non è la prima.
Prima ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e 
vinti.
Fra i 
vinti la povera gente faceva la fame.
Fra i vincitori faceva la 
fame la povera gente egualmente” (Bertold Brecht)

Buona lettura e buona Pace a tutt*

Francesca Fabbri

Condividi questo articolo