L’arte di Camminare

UnPubblichiamo un nuovo racconto dell’Amico Renato Cresta, il “genovese di Macugnaga”.
Oggi Renato ci parla del camminare: di quel camminare che diventa ricerca, introspezione e, perché no, meditazione.
… non ho mai cercato “la lotta con l’alpe” di cui parla Guido Rey, ma ho invece desiderato l’intesa, l’amicizia con la montagna e, nel mio camminare, mi sono spesso fermato per osservare, per ascoltare, per riflettere e per comprendere” ci racconta il nostro Autore.
Queste parole mi riportano alla mente il mio “patto con la Montagna”, quello fatto alle pendici della parete est del Monte Rosa all’alba del mio esame per diventare Accompagnatore di Escursionismo.
Gradualmente e con una certa fatica ho compreso che un sentiero non è soltanto un percorso che mi pilota nel paesaggio ma che è un bene culturale di cui posso godere senza limiti di tempo”: questo è il camminare “nostro”, quello al quale vorremmo invitare attraverso i Corsi di Escursionismo. La Montagna è un mondo, il nostro mondo, che sa svelare segreti meravigliosi a chi sceglie di dedicare curiosità e di porre attenzione….un pò come sanno fare i bei libri.
Quei sentieri che oggi percorriamo nel tempo libero, alla ricerca del tempo perduto o del tempo ritrovato, sono stati le vie di comunicazione di chi in montagna viveva, lavorava, faticava: “Su quel sentiero ha forse occasionalmente camminato la grande storia, ma si è mossa ininterrottamente la piccola storia”.
Percorriamo allora questo racconto in silenzio e in solitudine: “perché solamente quando sono solo avverto che è straordinario scoprire la normalità delle cose normali”.
Grazie Renato.
Buona lettura!

comitato scientifico sezionale  Francesca Fabbri

L’arte di Camminare

In tempi recenti alcuni autori hanno scritto a proposito dell’Arte di Camminare proponendocela secondo una prospettiva pratica che insegna a come preparare lo zaino, usare o meno i bastoncini, eccetera, oppure secondo considerazioni metafisiche che vogliono alleggerirci interiormente per farci “uscire dalle dipendenze emotive, fare ordine nella propria vita per diventare più forti e consapevoli.”
Si tratta di punti di vista che, essendo del tutto personali, lascio spiegare agli autori nelle loro pagine.
Pure il mio punto di vista è egualmente personale e non ho la pretesa di proporlo e tantomeno di imporlo, mi limito solo ad esporlo. Essendo germogliata più lontano nel tempo rispetto alle date di pubblicazione dei testi recenti, trovo che la mia arte di camminare si avvicini un poco a quello che espone Henry David Thoreaux, che ne ha parlato e scritto centosessanta anni fa.
Tranquillizzatevi: non sono così vecchio, anche se ne ho più della metà, ma ho ancora il ricordo del mio vagabondare iniziato quando ero ragazzo, del mio andare da un luogo a un altro, senza meta né programma, al solo scopo di godermi il paesaggio, di curiosare cosa c’era d’interessante nel mondo.
E non andavo soltanto per i monti solitari di Genova, anche le colline del Monferrato erano abbastanza vaste per accogliere i miei passi di vagabondo ed abbastanza generose di particolari, di colori, di rumori, di odori per soddisfare la mia curiosità giovanile che scopriva, come fossero novità, cose vecchie quanto il mondo.

Camminare

Avete avuto occasione di leggere Walking, di Henry David Thoreaux? È un volumetto di non più di sessanta pagine, pubblicato in Italia con il titolo Camminare.
In prima pagina compare una frase che ho sottolineato:
Nel corso della mia vita ho incontrato non più di una o due persone che comprendessero l’arte del Camminare, ossia del fare passeggiate, che avessero il genio, per così dire, del vagabondare.
Thoreaux ha scritto queste frasi nel 1863, se io fossi nato cent’anni prima o lui cent’anni dopo ci saremmo sicuramente incontrati e quegli uno o due che lui cita sarebbero diventati due o tre.
Ecco, anche se ho arrampicato su roccia e ghiaccio per raggiungere vette elevate, ho sempre preferito vagabondare, o, come dicono i francesi, traîner avec soi, cioè andarmene in giro con me stesso, andare solo, senza una vera meta da raggiungere, limitarmi a seguire una direzione: quella che mi conduce laggiù …
Quando vado solitario posso tenere il passo che mi garba, posso fermarmi per guardare il panorama od anche per osservare un fiore che si apre al sole oppure il va e vieni delle formiche all’ingresso di una loro tana.
Pur senza aver casa in nessun luogo in cui sono stato o in cui andrò, riesco a sentirmi a casa mia ovunque io sia.

Tutto questo perché … il camminare di cui io parlo non ha nulla che vedere con l’esercizio fisico propriamente detto, simile alle medicine che il malato trangugia ad ore fisse … Sono ancora parole di Thoreaux.
Così ho cominciato a camminare, in città dapprima, sui monti di Genova poi; in seguito ho percorso a piedi almeno metà dell’arco alpino, da Ventimiglia alla Valtellina, ho camminato anche per le Dolomiti e sono andato a vagabondare anche su altre montagne più lontane.
Ero ancora un ragazzo quando ho iniziato, ma avevo osservato un’apprezzabile differenza tra coloro che incontravo nelle mie camminate. Escludendo le persone che si muovevano per necessità di lavoro, mi risultava evidente che vi era una netta differenza comportamentale: tutti si muovevano sulle loro gambe, ma

• Coloro che andavano per i monti erano vestiti con abiti comodi, di modesta fattura, e camminavano nel vero senso del termine, cioè stavano andando in qualche luogo perché volevano vedere.
• Coloro che vagavano in centro città, sul lungomare di Corso Italia, sulla Passeggiata di Nervi, indossavano abiti eleganti e si erano recati in quei luoghi perché volevano essere visti.

Io mi ero auto incluso nel primo gruppo e cominciavo a sentire il richiamo dei monti, proprio come Buck sente Il richiamo della foresta. Jack London cerca di farci comprendere il subbuglio che l’incontro con la foresta mette in moto nell’istinto di Buck, un cane abituato alle comodità di una bella casa con un grande giardino ed una zuppa abbondante e sicura. È un’agitazione che, in modo impercettibile ma inarrestabile, modifica il carattere ed il comportamento dell’animale e lo porta, dopo tante avventure, ad abbandonare la vita con gli uomini ed a tornare al modo di vivere dei suoi antenati, alla vita della foresta.
Volevo frequentare l’Istituto Nautico e diventare ufficiale di coperta, ma i miei sogni di grandi avventure sui mari sono presto svaniti di fronte all’opposizione di genitori e parenti.
Sui monti intorno a casa mia non c’era foresta, solo pochi alberi sparsi e qualche macchia di bosco su monti pelati, coronati dalle antiche fortificazioni.
Eppure il richiamo si è fatto presto sentire ed allora ho cominciato a cercare piccole avventure sulle colline di Marassi e di Quezzi, poi sui monti della Liguria, poi sulle Alpi e poi … brevi visite a monti troppo vasti e troppo lontani per essere conosciuti a fondo.
Beh, anch’io, piano piano, ho abbandonato la vita della città e sono tornato ad una vita più antica, una vita che si svolge in un mondo più semplice, più genuino, anche se, talvolta, più impegnativo.

Nel mio iniziale “camminare” vi era soprattutto uno sfogo di energie giovanili ma, mentre le mie camminate si facevano sempre più lunghe, qualcosa si aggiungeva, qualcosa che, forse, stimolava ancor più la voglia di muovermi. Era una specie d’appuntamento, una forma di partecipazione con ciò che mi stava intorno, una voglia di osservazione, un desiderio di conoscenza del mondo alla quale cercavo dare soddisfazione usando i soli mezzi di cui disponevo che, a pensarci bene, erano perfettamente adeguati: le gambe per muovermi, gli occhi per vedere, il naso per fiutare, le orecchie per ascoltare e … la mente per assorbire le mie “scoperte”.
La giungla mi parla perché io so ascoltarla” è la frase che Rudyard Kipling fa pronunciare a Mowgli, il protagonista de “Il libro della giungla”.

Camminando sui monti della Liguria ho scoperto una fittissima rete di sentieri e mulattiere e mi sono reso conto che questa viabilità pedestre non era stata creata da chi aveva fatto escursionismo prima di me. Soltanto camminandovi sopra ho capito che ogni mulattiera, ogni sentiero è un’eredità che mi è stata lasciata da genti che, molti ma molti anni prima, si erano mosse per esigenze di vita. È l’effetto del battere di calzature di uomini e di zoccoli di animali che, anno dopo anno, ha consolidato quella strisciolina di terreno.
Gradualmente e con una certa fatica ho compreso che un sentiero non è soltanto un percorso che mi pilota nel paesaggio ma che è un bene culturale di cui posso godere senza limiti di tempo.
Su quel sentiero si sono mossi, forse, anche condottieri seguiti da uomini gravati da armi fatte per uccidere, ma quel sentiero era stato tracciato e consolidato da altro genere di condottieri: mulattieri a capo di carovane di muli che trasportavano merci e derrate necessarie alla vita, comandanti di greggi e di armenti in cerca di pascoli, schiere di legnaioli e carbonai, … Su quel sentiero ha forse occasionalmente camminato la grande storia, ma si è mossa ininterrottamente la piccola storia, la storia (spero che Guareschi mi perdoni il furto d’uso) del “mondo piccolo” che consumava la sua vita sparso per le campagne o tra i monti.

Sebbene nella mia iniziale ricerca mi sia dedicato anche alle imprese sportive e ne abbia tratto qualche soddisfazione, non ho mai cercato “la lotta con l’alpe” di cui parla Guido Rey, ma ho invece desiderato l’intesa, l’amicizia con la montagna e, nel mio camminare, mi sono spesso fermato per osservare, per ascoltare, per riflettere e per comprendere. Forse è grazie a questo mio approccio gentile che la montagna mi ha accolto, ha tollerato la mia inesperienza, ha sopportato il mio vagare incerto, ha perdonato qualche offesa involontaria e mi è stata compagna, amica e maestra.

All’inizio della mia attività ho percorso molta strada in compagnia di amici o al comando del mio reparto di alpini, ma ne ho percorsa ancor più in solitudine, perché solo in questa condizione mi riesce di ascoltare i pensieri, di maturare le riflessioni che la lettura del paesaggio, o anche di un particolare, fa sorgere nella mia mente.

Adesso mi rendo conto che ho trascorso per i monti più di tre quarti della mia vita e che sono contento della mia scelta.
Fino a poco tempo fa, quasi ogni giorno lasciavo la casa e, in piena solitudine, percorrevo per almeno un paio d’ore i conosciutissimi sentieri dei dintorni, questo perché solamente quando sono solo avverto che è straordinario scoprire la normalità delle cose normali perché, di questi tempi, è proprio la normalità ad essere diventata la nuova rarità e l’impegno mentale teso a comprenderne il significato è uno stimolo per un cervello che sta invecchiando.
Trovo che il mio modo di interpretare il camminare sia simile al mio modo di intendere la lettura: ogni passo è una pagina di un libro infinito. Puoi leggere cose nuove o trovare conferma di idee vecchie, puoi fermarti a soppesare una frase od a guardare un particolare, puoi persino tornare indietro per rileggere (o rivedere) quello che non hai capito oppure che ti è piaciuto in modo particolare. Non puoi sottolineare, ma puoi scattare una fotografia. Concludere una camminata è come terminare un capitolo: volti pagina e riprendi la lettura.

L’età mi ha costretto a ridurre le distanze ma mentre sono in cammino mi ricordo ancora di Thoreuax e della strofa finale della sua The Old Marlborough Road – La vecchia strada per Marlborough:

Se con la fantasia tripudiante
lasciate la vostra dimora
potete girare il mondo
sulla vecchia strada per Marlborough.

Approfitto ancora, fin che mi riesce, delle opportunità che mi sono offerte, prima che giungano tempi peggiori.

Marzo 2023

 

Nato a Genova nel 1936, Renato Cresta a vent’anni decide di abbandonare la vita di città e di andare a “vivere in montagna, vivere di montagna, vivere la montagna”. Si arruola nelle Truppe Alpine e vi rimane per otto anni, raggiungendo il grado di Capitano e conseguendo i brevetti di Istruttore militare di sci, di alpinismo e di paracadutismo. A trent’anni lascia l’esercito e vive di montagna dirigendo impianti sciistici.

A quarant’anni si dedica alla libera professione: Maestro di sci di fondo e di discesa, Esperto di nivologia e come tale iscritto nell’Elenco dei Periti e degli Esperti della CCIAA del VCO, Guida Naturalistica del Parco della Val Grande, docente per infiniti corsi.

Cresta è considerato uno dei principali esperti di nivologia a livello internazionale. Nel 2013 ha pubblicato “Neve, compendio di nivologia”: un testo ritenuto unanimemente l’opera piu’ completa in materia in lingua italiana.

Nel novembre 2022 esce la nuova edizione di “Neve – Compendio di nivologia”: un testo scientifico e poetico allo stesso tempo con il quale l’Autore dona generosamente al Lettore tutta la sua esperienza che, sapientemente mescolata con una magistrale e approfondita conoscenza, si pone l’obiettivo di condurre il frequentatore della montagna innevata davanti alle proprie responsabilità e alle proprie scelte.

 

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