Ci riprovo con gli sci

“Per tutto l’anno scolastico sono andato a scuola a piedi invece che in tram e questo mi ha permesso di mettere da parte i soldi di quattro biglietti/giorno, cioè settanta lire/giorno e, contando su circa duecento giorni di economia, sono riuscito a risparmiare quasi diecimila lire”.

Inizia così il nuovo racconto del Capitano Cresta: la passione per la montagna innevata suggerisce al genovese di Macugnaga di trovare il modo di risparmiare per riuscire ad avere attrezzatura e soldi per potersi permettere qualche uscita sugli sci. E così Renato acquista gli scarponi: “quando li ho buttati avevano camminato, sciato ed arrampicato per quattro anni da borghese ed altri tre anni con le stellette e non ce la facevano proprio più, ma sono stati miei compagni per almeno sette anni di attività su per i monti”.

Dunque si torna sugli sci e sulla neve ed “effettivamente il sistema “scarponi nuovi -sci meno vetusti” si rivela di gran lunga superiore a quello della prima volta”.

Poi arrivano gli sci nuovi, con attacchi Kandahar: “molto bene ma … gli attacchi sono ancora da montare, perché quello è un servizio che il negoziante non fornisce”.

Arrivano anche gli amici nuovi: “ne trovo di meno raffinati, gente che si siede insieme a me su un tronco e si accontenta di un panino con la frittata”.

Tra gli amici ci sono Sergio e Graziella: e qui il racconto fa sorridere e fa venire alla mente “Maneggi” di Gilberto Govi. Non lo conoscete? Non sapete chi sono la Signora Gigia e la figlia Matilde? Imperdonabile in quel di Genova: ponete rimedio e cercate qualche registrazione dello spettacolo. Riderete tanto da avere le lacrime agli occhi.

E tra un “su a lisca di pesce – giù come ti riesce” e un “faccio il conto e mi accorgo che sono già cinque ore che sono in giro e non ho ancora messo gli sci ai piedi” ….. ”finalmente scio!”

Anche con questo racconto Renato ci insegna che passione e impegno perseverante possono raggiungere risultati “insperabili”.

Che poi è questo il primo e vero insegnamento della Montagna: percorrendola con tutta la fatica necessaria impariamo a conoscere e rispettare noi stessi e a conoscere e rispettare la Montagna medesima.

Essere montanari è uno stile di vita, un modo di essere che ci portiamo dentro, anche quando siamo in città.

Cosa altro si può dire? Ah, si, ancora una cosa:Sì, questo è lo sci che diverte, però … nella testa ronza sempre il “pensierino della sera”: Belin se o costa cäo!”

Buona lettura e buona Montagna innevata.

comitato scientifico sezionale

 

Francesca Fabbri

Ci riprovo con gli sci

Per tutto l’anno scolastico sono andato a scuola a piedi invece che in tram e questo mi ha permesso di mettere da parte i soldi di quattro biglietti/giorno, cioè settanta lire/giorno e, contando su circa duecento giorni di economia, sono riuscito a risparmiare quasi diecimila lire. Poi ho fatto un altro conto: dal numero civico 105 di Corso Sardegna alla Salita delle Battistine sono due chilometri e mezzo, da ripetere quattro volte, cioè dieci chilometri al giorno; in totale 10 km/giorno per 200 giorni circa fanno più o meno duemila chilometri di strada a piedi; in altri termini: ho risparmiato 5 lire a chilometro.

Duemila chilometri che, trasformati in diecimila lire, sono bastati, anzi è avanzato qualche chilometro, per acquistare un paio di scarponi che ho voluto fossero polivalenti: scarponi che vadano bene sia per lo sci, sia per le escursioni e li farò andar bene anche per le arrampicate di un certo impegno che affronterò più avanti.

Il cinghietto sopracollo serve per tenere fermo il collo del piede, in modo che il tallone non si sollevi durante i movimenti di alleggerimento (distensione verso l’alto) che precedono la curva con gli sci.

Quando li ho buttati avevano camminato, sciato ed arrampicato per quattro anni da borghese ed altri tre anni con le stellette e non ce la facevano proprio più, ma sono stati miei compagni per almeno sette anni di attività su per i monti.

 Dopo le feste natalizie riesco a fare un’altra scappata sulla neve con i soliti due compagni di scuola, Ivo e Giacomo. Loro decidono la località: Sale Langhe, che non so neppure dove sia.

Questa volta riesco a noleggiare sci più decenti e, fiducioso nella collaborazione dei miei scarponi nuovi, parto pieno di speranze. A piedi fino alla Stazione Brignole (alle quattro del mattino non ci sono tram), in treno fino alla stazione di Piazza Principe, quindi cambio di treno per Savona Letimbro, fredda, nebbiosa, e ventosa. Altro treno fino a Sale Langhe, che non è nelle Alpi, ma nelle Langhe (che stupido a non averci pensato).

La località è abbastanza innevata, anche se siamo alla quota di soli 615 m s.l.m.

Sembra che i miei due soci conoscano bene il luogo, infatti usciamo dalla stazione, voltiamo a sinistra ed entriamo nel “negozio-osteria-trattoria con alloggio” che è proprio di fianco. Parlano con la padrona e prenotano il pranzo quindi, lasciati sacchi e borse, usciamo, torniamo in stazione e attraversiamo l’atrio, poi i binari, quindi scendiamo ad un ponte che scavalca un torrente in secca e, risalita la ripa del torrente, ci troviamo davanti alla nostra “stazione sciistica”: un prato ben innevato ai piedi di un pendio abbastanza ampi, meno ripido che a La Castagnola, che confina con i primi filari di una vigna e, più in alto, un bosco di castagni.

Calziamo gli sci e saliamo “a scaletta”, per battere la neve. Questa è crostosa, ma la sottile crosta cede facilmente sotto gli sci, la neve sottostante si mischia con la crosta e il tutto si compatta. Quando provo a scendere riesco a stare in piedi per tutto lo sviluppo della prima breve discesa e mi fermo per inerzia sul tratto pianeggiante. Qui va meglio che alla Castagnola, dove l’unico tratto pianeggiante era la strada asfaltata. Effettivamente il sistema “scarponi nuovi -sci meno vetusti” si rivela di gran lunga superiore a quello della prima volta.

Su e giù tutta la mattina, dapprima noi tre soli, poi si aggiungono altre tre o quattro persone.

Sono tutti più bravi di me, ma io progredisco rapidamente, non casco quasi più, riesco a frenare e persino ad abbozzare qualche curva.

Sosta per il pranzo, ripresa delle attività nel pomeriggio e poi treno, anzi treni + tram (alle nove di sera sono ancora in servizio) mi riportano a casa.

Meditazione della sera: “Si lo sci è divertente; se mi metto a studiare un po’ di più e riesco a farmi promuovere con qualche voto decente posso avanzare la richiesta di un paio di sci in premio”. 

Ci riesco.

Gli sci nuovi

Prima dell’inverno ‘53/’54 sono in possesso di un paio di sci nuovi, con attacchi Kandahar; molto bene ma … gli attacchi sono ancora da montare, perché quello è un servizio che il negoziante non fornisce. Per la cronaca il negozio era Janua Sport, nel breve slargo tra il Ponte Monumentale e l’inizio dei portici di via XX Settembre.

In famiglia e dintorni nessuno conosce falegnami esperti in materia così, visto che non so come si faccia e che non ho neppure gli attrezzi, decido di fare la cosa che mi pare più logica: li monterò da solo.

Il fatto che non abbia un trapano- non parlo del trapano elettrico, che allora era una rarità, ma del girabacchino, del trapano a mano -è superato: nella cassetta degli attrezzi abbiamo una verrina e pure un cacciavite che sembra a misura delle viti.

Papà s’informa presso un collega sciatore sul montaggio degli attacchi: la risposta è chiara: trovato il punto di equilibrio degli sci, lì si posiziona la punta dello scarpone; l’attacco deve essere montato da quel punto verso la coda.

Tutto è chiaro ed io mi applico di buona lena.

C’è solo un problema: il legno degli sci è duro da forare con la verrina e ogni attacco prevede ben quindici viti. Finalmente gli sci sono pronti, ma la mia mano destra è piena di biosce.

È proprio vero che lo sport richiede dei sacrifici!

Il risparmio sul tram continua e l’aggiunta di qualche premio in denaro guadagnato in gare di corsa campestre mi permettono di mettere da parte i soldi per un’altra gita a Sale Langhe.

L’atletica leggera era uno sport puro e nelle locandine pubblicitarie delle gare era scritto “al primo arrivato oggetto del valore di 500 lire” sicché, quando vincevo, mi premiavano con una coppa e l’oggetto-premio era una busta; solo dopo la premiazione “aprivi la busta e avevi la sorpresa di trovarvi cinquecento lire”: il dilettantismo era salvo.

Questa volta la comitiva è un poco più numerosa, oltre a Giacomo ed Ivo ci sono un paio di amici loro, mai visti prima e mai rivisti dopo.

Gli sci nuovi, venti centimetri meno lunghi di quelli noleggiati, sono più manovrabili, non casco più e, senza mollare troppo lo spazzaneve, riesco a controllare direzione e velocità al punto che persino le donne si fermano a guardarmi, la foto lo dimostra.

Sono soddisfatto, ma una o due uscite l’anno non bastano certo per farmi diventare un bravo sciatore.

Osservando che ho acquisito l’occhio di un maestro mi è facile osservare che il mio atteggiamento sugli sci ha il busto troppo flesso in avanti e, per compensare lo squilibrio, debbo arretrare il cul…, scusate, il bacino. Le ginocchia sarebbero abbastanza piegate, ma l’errore è nelle caviglie, che non sono flesse ma rette a novanta gradi, quasi rivolte all’indietro.

Ci metterò un paio d’anni per capirlo, perché gli amici non sono in grado di comprendere l’errore e i maestri costano troppo.

Conquisto l’autonomia economica

Ho terminato gli studi e mi sono subito inciampato in un lavoro, quindi posso permettermi qualche scappata invernale in più. C’è poco da fare, lo sci costa più caro dell’escursionismo. Mettiamo da parte il costo dell’attrezzatura, che è già stato superato, ma l’abbigliamento dovrebbe essere quello specifico per la neve, cosa che a me non importa proprio ed uso le stesse brache di velluto, alla zuava secondo tradizione, che uso per le escursioni estive, tanto non cado più così spesso.

Però la gita stessa costa più cara, il viaggio è più lungo e con più mezzi e gli amici dicono che non puoi portarti il pranzo al sacco come d’estate ed affermano che “se mangiare al freddo non è gradevole, è ancor più sgradevole mangiare cibi gelati perché sono rimasti parcheggiati sulla neve per diverse ore”, perciò finisci per seguire i compagni in trattoria.

Queste, solitamente, sono a buon mercato, ma il costo entra a far parte del conto totale.

A questo punto mi decido e invece di cambiare abitudini trovo più conveniente cambiare amici e ne trovo di meno raffinati, gente che si siede insieme a me su un tronco e si accontenta di un panino con la frittata.

Riesco così a fare tre o quattro gite sui monti dell’entroterra, una con Sergio, che abita nel caseggiato di fronte – a Genova si usava chiamare così, con maggior modestia, quegli edifici che in altre città sono detti palazzi.

Verrà anche Graziella, che abita in quello a lato. Sergio ne è innamorato (lei però non lo verrà mai a sapere), mentre io cerco di non andare oltre l’amicizia perché ho paura di sua nonna, a Scia Colla.

La Signora Colla non è il feroce cane da guardia di sua nipote, al contrario, ne è la promoter, la propagandista, infatti si ferma sovente a parlare con noi giovanottelli per raccontarci di sua nipote, così bella, così brava, così studiosa … Poi ci racconta che sua figlia si era sposata a sedici anni e che adesso anche sua nipote ha proprio quell’età …, il resto non lo diceva ma lo capivi da solo e per questo la sfuggivamo, ma non sempre facevamo in tempo.

Sergio è ben contento di fare la gita con Graziella, talmente emozionato che deve averla sognata tutta la notte, fino al mattino … infatti è in ritardo. Graziella e la mamma decidono di non aspettare e si avviano alla stazione, io aspetto Sergio e quando finalmente questi appare sul portone ci rendiamo conto che non faremo in tempo a prendere il treno ma mi ricordo che a De Ferrari partono gli autobus della Lazzi per Busalla e forse facciamo in tempo. Di corsa sino a Piazza De Ferrari, dove giungiamo giusto in tempo per salire sull’autobus, che arriva a Busalla in contemporanea con il treno.

Alla Castagnola sciamo sul solito pendio (l’unico che si presti) ed oggi applico la formula che ho coniato già dopo la seconda uscita: Su a lisca di pesce – giù come ti riesce.

Beh, quest’oggi riesco a riconciliarmi con il campo di neve de La Castagnola

Poi ci immortaliamo in una foto, ripresa dalla mamma di Graziella, che non scia: Sergio, a sinistra, starà vicino a Graziella solo il tempo per fare la foto,

Un paio d’anni dopo Graziella farà contenta la nonna sposando un ragazzo del quartiere, poco più anziano di noi, e farà carriera in TV: sarà una delle prime vallette televisive. Dopo averla vista qualche volta in TV non ne ho più saputo niente.

 Un anno dopo

 I miei sci hanno perso alcune delle viti che fissano le lamine.

Entro in un negozio di ferramenta di Via Canevari per comprarle e, quando avanzo la mia richiesta spiegando a cosa servono, il negoziante, poco più anziano di me, mi dice che pure lui scia. Chiacchieriamo un poco e vengo a sapere che lui fa parte del Gruppo Alpinistico Vajolet, che ha sede nella vicina Via Ansaldo, e mi invita ad andare una sera a trovarli.

Seguo il suo consiglio e trovo persone giovani e simpatiche con le quali mi trovo subito d’accordo: andremo a sciare insieme a Frabosa Soprana, nelle Alpi Liguri.

Ormai lo sappiamo: alle quattro del mattino non ci sono tram, perciò a piedi sino alla Stazione Brignole, poi treno sino alla Stazione Principe, treno sino a Savona Letimbro, attesa del treno per Mondovì e corriera per Frabosa. Finalmente, alle nove raggiugi Frabosa. Adesso devi ancora percorrere un tratto a piedi sino all’altro versante del costone su cui sorge il paese: là ci sono le piste e la stazione di partenza della seggiovia.

Faccio il conto e mi accorgo che sono già cinque ore che sono in giro e non ho ancora messo gli sci ai piedi.

Nessuno di noi prende la seggiovia: dicono che la pista del Monte Moro sia difficile, anzi difficilissima, quindi su e giù sulla zona terminale della pista, che ha pendenze adatte alle nostre capacità.

Merenda sulla neve con le solite cose portate da casa e, cosa molto gradita, un pezzetto di torta e qualche biscotto offerto dalle ragazze. Alcune di queste abitano a Sestri Ponente e lavorano alla Elah o alla Dufour, hanno quindi una certa esperienza in materia di dolciumi.

Verso le quattro di sera si torna in paese e si inverte il giro dei mezzi di trasporto.

Pensierino della sera: Vale la spesa andare così lontano per fare le stesse cose che fai in località più vicine?

Beh, di positivo c’è che la neve delle Alpi è più abbondante e migliore della neve dell’Appennino, di negativo il costo del viaggio, che è più elevato.

 Però … oltre alla seggiovia a Frabosa c’è pure una sciovia e prima o poi tenterò di usare almeno questa per andare sino in cima e percorrere finalmente una vera pista da sci.

La volta successiva ci provo ma, prima di mettermi in coda, tengo sotto osservazione quelli che si “agganciano” al traino e cerco di capire quale errore commettono quelli che cadono alla partenza: bisogna piegare un poco le ginocchia e tenere il busto leggermente avanzato per ammortizzare lo strappo iniziale che “ti butta indietro”; credo di aver capito: chi cade in avanti non fa nulla di questo, chi cade indietro piega le ginocchia in modo esagerato.

Ci provo e ci riesco; la discesa non è difficile ed è abbastanza lunga. Ci riprovo altre quattro o cinque volte e … finalmente scio!

 

Sì, questo è lo sci che diverte, però … nella testa ronza sempre il “pensierino della sera”: Belin se o costa cäo!

 

Macugnaga, ottobre 2011

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